Riflessioni (incomplete) sulle pratiche di libertà

Una piccola premessa

Partiamo da un presupposto: vogliamo essere felici.

Crediamo che vivere sperando in un lontano futuro in cui il mondo sarà finalmente, e quasi magicamente, rivoluzionato sia limitante.

È comunque a questa dimensione utopica che tendiamo ma non siamo disposti ad attendere spasmodicamente tempi migliori. Troviamo necessario poter assaggiare la felicità, iniziare a concretizzare qui e ora un mondo diverso.

Non pensiamo che una rivoluzione passi dalla mera presa del potere.

Crediamo che la creazione di comunità di lotta sia la cosa che più si avvicina alla forma di vita che auspichiamo, alla scomparsa di solitudine e atomizzazione.

Per questo partiamo, nella stesura di questo testo, da esperienze vissute all’interno di una specifica comune. Ma vorremmo fare un discorso che sia estendibile a tutte le nostre comuni dagli squat alle zad.

Sperimentazione

Affrontare le contraddizioni che vivono nei nostri spazi significa analizzarle e provare a scioglierle e , in potenza, rendere attuale, possibile o quantomeno immaginabile l’assenza di meccanismi di dominio all’interno dei rapporti umani.

La sperimentazione nella comune passa dalla decostruzione personale di ognuno nel tentativo di spogliarsi dei dispositivi della società.

Un tentativo difficile in cui talvolta finiamo per perderci, dedicandoci stacanovisticamene alla lotta, uccidendo l’individualità quando sono proprio le nostre differenze a renderci forti. A fare di noi una comune è il porre i desideri e i bisogni dei nostri simili sullo stesso piano dei nostri.

La comunità vive di rapporti, o almeno ci prova. L’amicizia e l’amore, la condivisione di momenti e stiuazioni ci caratterizzano.

Ogni istante va sullo stesso piano, nessuno dovrebbe essere sottovalutato: cucinare e mangiare assieme, andare a fare un giro di scritte, scrivere un testo collettivamente, vivere insieme momenti di conflitto, elaborare un lutto o passare semplicemente il pomeriggio insieme sono forme e declinazioni tramite cui la comunità cresce e rafforza i legami e la fiducia reciproca creando un senso collettivo di affetto ed intimità.

Quando ci concediamo alla collettività viviamo con il terrore di uscire da essa. Temiamo il tradimento. Quando qualcuno si distacca, quando vediamo il limite nell’inconciliabilità di questa forma di vita con la costruzione di una famiglia, con un lavoro full-time o con l’avanzare della “vita adulta” ci sentiamo isolati perché abbiamo scoperto cosa significa non essere più soli.

La comune permette l’elaborazione di forme di vita che siano allo stesso tempo forme di lotta. E vive costantemente nel tentativo di trovare l’equilibrio tra queste.

A parte tutto qui viviamo bene

Viviamo immersi nel capitalismo. Ci siamo nati e cresciuti e non possiamo pensare che esso non ci scalfisca. Barricare una porta non significa lasciar fuori ogni schifo di questo mondo. Dobbiamo comprendere che il percorso che vogliamo affrontare è lento e tortuoso. Passa dal politico, dalla quotidianità, dal continuo riassestamento di equilibri, relazioni e legami che vanno di pari passo al mutamento delle necessità e dei desideri della comune.

Nei momenti di difficoltà dobbiamo ricordare però che la differenza tra il “mondo esterno” e i nostri “micromondi” è la tensione a cambiare. A cambiare il mondo o le relazioni. A cambiare la nostra stessa vita, o almeno a provarci. Per quanto ci sembra di fallire, forse i nostri fallimenti ci avvicinano a riuscire meglio la prossima volta.

E il farlo insieme è ciò che ci avvicina a stare comunque meglio, a vivere bene. Fosse anche solo perché possiamo andare a dormire sonni tranquilli sapendo di averci provato per l’ennesimo giorno.

Vivere in conflitto e vivere il conflitto

La nostra incisività sul mondo dipende dalla nostra capacità di essere all’attacco.

Se all’azione repressiva totale che subiamo rispondiamo con la chiusura e con l’autodifesa, ovvero cercando meramente di rendere possibile la sopravvivenza della comunità abbiamo già perso.

Che senso ha essere sempre sotto attacco e abitare permanentemente in conflitto senza viverselo realmente o senza esserne partecipi?

Anche per la mancanza dell’azione repressiva statale, e conseguentemente della risposta militante, forme di vita che si basano su delle concessioni di qualcosa da parte del potere non sono incisive sulla realtà non solo perché recuperate parziamente dallo stato, ma perché implicano la perdita di combattività e non permettono di rendere estendibili le forme di vita. Rivendichiamoci la nostra illegalità e vinciamo grazie ai rapporti di forza e non perché qualcuno ci ha concesso di vivere.

Comportamenti giovanili

Definizione di giovane

Si vuole dare una definizione politica e non biologica del termine: la definizione che viene proposta dal capitalismo e quella che secondo una diversa visione del mondo, vorremmo dare noi. Siamo abituati a dare un limite alla giovinezza, come se le nostre caratteristiche fisiche fossero in continuità con la mentalità e l’attitudine a certe pratiche piuttosto che ad altre. Mettiamo da parte la definizione biologica e capiamo piuttosto quale significato dare alla giovinezza come modus operandi, come stile di vita all’interno di un circuito che si muove nella stessa direzione. Si è evidenziato come spesso la definizione di giovane ne sia il nemico stesso, poiché lo si inquadra come individuo privo di responsabilità e disobbediente alle regole della civiltà, quando in realtà ne dovrebbe essere il cuore pulsante, rinnovandola di generazione in generazione. La fase giovanile è infatti ritenuta dalla grande fabbrica sociale come fase di inquadramento all’interno del sistema lavorativo e ne abbiamo un esempio evidente con l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro all’interno delle scuole: il giovane è considerato come un adulto in potenza, non come individuo con le proprie specificità e le proprie esigenze; il giovane è sempre in deficit di esperienza, lavoro e conoscenze per affrontare la realtà esterna. Ma sono i giovani a non adeguarsi alla realtà circostante o è il sistema lavorativo che incontriamo a non adattarsi a noi? Definire in questo modo la componente giovanile significa non ragionare a comparti stagni, ma avere una visione più ampia e completa, così da evidenziare la continuità fra dinamiche familiari, scolastiche, lavorative e sociali.

Ruolo politico dei giovani

In un mondo organizzato sulla base della gerarchizzazione, dell’individualismo e del consumismo che non rispecchia le esigenze umane, risolvibili piuttosto con la collaborazione, l’età giovanile, essendo in sé fase di cambiamenti e scelte, è la più instabile e per questo la più pericolosa per chiunque voglia inquadrarla su di un unico binario di pensiero . Questo lo sa bene chi tiene le redini del gioco. Il lavoro peggiore è stato fatto negli ultimi anni attaccando la componente giovanile su vari fronti, distruggendo qualsiasi volontà di ribellione e organizzazione, privandola di spazi e mezzi, precarizzando ulteriormente il lavoro, lasciando cadere letteralmente a pezzi le scuole pubbliche, limitando la didattica che ci piace, quella del confronto e del dibattito, dell’esperienza diretta nei laboratori; legalizzando il lavoro minorile gratuito e attaccando tutti a dispositivi digitali di cui spesso non conosciamo il funzionamento, i rischi e le potenzialità. Come già accennato il ruolo dei giovani, biologicamente e storicamente parlando, dovrebbe essere quello di rinnovarsi trovando nuove idee e nuove strategie per vivere meglio in comune, piuttosto che far prolificare un individualismo religioso e autodistruttivo. Troviamo scontri generazionali indotti, come quelli stabiliti dal sistema lavorativo: si distingue la popolazione in chi è produttivo e chi non lo è, in chi può essere spremuto fino all’osso e chi potrà godere di una morte più lenta e naturale. La politica odierna punta sulle differenze da essa stessa create per diffondere la sua propaganda e proclamare grandi riforme che generalmente non accontentano nessuna parte, se non quella dei privilegiati. Tutto funziona e si regge sulla legge del più forte: più sei disposto a perdere in rapporti, tempo ed energie, più sarai ricompensato. Questo meccanismo genera un arrivismo che deteriora ulteriormente i rapporti con i pari e li obbliga alla competizione più becera per la sopravvivenza.

Reazione alla repressione

I giovani sentono il clima di tensione che li circonda in modo diretto e indiretto da parte della famiglia, dalla politica e dall’ambiente che li circonda; sono consapevoli che i loro desideri, indotti e non, saranno spesso difficili da realizzare. Questa consapevolezza può portare un giovane da una parte nel mercato illegale o ad ambizioni di potere personale, dall’altra nello sconforto e nell’apatia totale. La scarsa fiducia in sé e negli altri come in qualsiasi tipo di organizzazione orizzontale deriva forse in parte da questo disagio, in un periodo in cui il significato stesso di politica è modificato dall’unico metodo organizzativo centralista, gerarchico, istituzionale conosciuto, disperdendo le pratiche assembleari: è noto come le assemblee di istituto all’interno delle scuole, nate perché gli studenti avessero un loro momento di confronto e organizzazione, siano diventate momenti privi di contenuti e poco coinvolgenti; questo dove la pratica assembleare è ancora concessa: migliaia di studenti in Italia ci rinunciano, trattano per averla o la scambiano per un giorno in più di autogestione. Quest’ultima è passata dall’essere l’unico vero momento in cui gli studenti prendevano parte attiva nella scelta della propria formazione, all’essere sostituita dalla settimana di alternanza, usata per smaltire il maggior numero di ore lavorative in breve tempo. Tutto si traduce in una passività totale e in un meccanismo di delega verso qualunque situazione . La sensazione di solitudine è totalizzante e interiorizzata, per cui la nascita di una scuola “depressa” diventa inevitabile.

Tendenze politiche giovanili

Riteniamo che le tendenze derivino in gran parte dall’influenza dei media e di tutti quei mezzi in mano alla propaganda. La sfiducia generale e la sensazione di impotenza, data da una politica istituzionale completamente spostata a destra, colpevole di aver creato un esergito di disoccupati e 5 milioni di persone in stato di povertà assoluta (2017), dà largo al “laissez-faire” di chi non può materialmente permettersi di organizzarsi in altre forme a causa delle sue condizioni e/o non conosce altra vita rispetto a quella che gli è stata imposta e di chi spera ancora in un miracolato che ci salverà tutti moltiplicando banconote. È bene specificare questa condizione generale perché spesso l’influenza maggiore la si riceve dall’ambiente familiare e così troviamo ragazz* che inneggiano a Salvini o peggio al fascismo, nella totale ignoranza di cosa il fascismo sia, spesso con accanto l’amico di origini senegalesi. L’ignoranza è ciò che serve al capitalismo per creare giovani ubbidienti e inconsapevoli, incapaci di leggere un contratto di lavoro o un articolo, né di criticare le autorità e agire contro di esse,o giovani che sfogano la loro rabbia verso chiunque senza un indirizzo chiaro e preciso. D’altra parte in alcuni licei si dà enorme importanza all’istituzione sinistroide borghese (PD, Liberi e Uguali,..), vista come l’unica possibilità di ostacolare l’avanzata della destra; probabilmente qui entra in gioco una qualche memoria storica dell’esistenza di una sinistra istituzionale che non ha riscontri nella realtà. A proposito di memoria storica le nuove generazioni post-Onda non sono informate sulle pratiche di autogestione e organizzazione orizzontale, né hanno un esempio forte di collaborazione e scontro che dia la certezza che mobilitarsi è l’unico modo per combattere l’oppressione; per questo è sempre necessario che un movimento popolare sia visibile sul territorio e collabori con diversi soggetti sociali, mostrando come la lotta, se condivisa, possa portare risultati per tutti. Infine una quarta componente la possiamo riscontrare in chi è affine alle idee di autogestione e lotta, ma vive sopraffatto da questo clima depressivo, chiudendosi in piccoli gruppi, o nella maggior parte dei casi costringendosi nell’isolamento e nella solitudine, lontano da qualsiasi cosa possa turbare il proprio ordine interno.

Rapporto fra potere e cambiamenti sociali

Oggi in Italia come in altre parti del mondo lo scontro generazionale avviene fra giovane e politica: chi ha fra i 13 e i 30 anni appartiene a quelle generazioni che hanno conosciuto non solo per la prima volta in Italia una vera e propria multiculturalità, grazie alle migrazioni degli ultimi anni, ma anche un’attitudine alla tecnologia che ha sconvolto totalmente il nostro modo di vivere assieme e comunicare. Dato ciò mal si adegua ai giovani di oggi la politica populista di destra, poiché non corrisponde ai reali rapporti umani che si stabiliscono nel corso della vita all’interno delle scuole, nelle strade e negli ambienti di lavoro; lo stesso stimolo viene dato dalle nuove tecnologie e dalle nuove frontiere che essa apre, in pieno contrasto con la chiusura di esse in tutto il settentrione del mondo. Quello che vogliamo dire è che spesso e volentieri i giovani sono portati a ragionare in modo diverso dalle istituzioni, ma quasi mai se ne rendono conto. Nemmeno si rendono conto dell’enorme potenzialità che queste due rivoluzioni della comunicazione e di conseguenza dei rapporti hanno generato nel nostro modo di vivere le relazioni e le informazioni. Riteniamo che questi siano dei grossi punti di forza che ci danno la speranza che imparando ad utilizzare a nostro favore i cambiamenti che avvengono, ci saranno buone ripercussioni sull’esterno, piuttosto che lasciarli nelle mani del capitalismo che come sempre li strumentalizza per creare maggior controllo, vittime e potere.

Luoghi, tecnologie, socialità

Abbiamo già accennato ai luoghi, parlando della situazione nelle scuole, ma dove si incontrano realmente i giovani? Quali sono gli spazi che li attirano? Che tipo di rapporti si creano all’interno di questi spazi? È evidente che il mezzo più utilizzato per comunicare è la tecnologia, fra cui social network, email, blog, etc. Questi strumenti digitali hanno in sé una valenza positiva e negativa: da una parte rappresentano uno strumento di controllo, poiché qualunque contenuto noi inseriamo all’interno del nostro pc finisce all’interno di un grande contenitore (Whatsapp,..) in mano ai pochi fisici gestori e al contempo può diventare mezzo di sfogo e distrazione dalle proprie prolematiche. D’altra parte tanti compagni che si interessano di hacking hanno le conoscenze per far sì che si usino sempre meno software controllati da superpotenze capitalistiche e si aprano piuttosto le frontiere della vera libera condivisione digitale. La liberazione dal controllo digitale deve essere compresa e praticata dai compagni e condiviso in larga scala con la speranza che diventi un mezzo per farci comprendere dai giovani. Tutti noi abbiamo la necessità di esprimere noi stessi e condividere i nostri pensieri; dove ciò non è possibile nel mondo reale, lo si fa in una dimensione altra, metafisica e digitale. Il social network non sostituisce solo la semplice conversazione, ma stravolge l’immaginario di noi stessi che vogliamo dare al mondo: dove sta la coerenza nel presentarsi in un modo e comportarsi nell’opposto? Quanto tempo è sprecato nel rincitrullirsi il cervello davanti al possibile giudizio negativo o positivo di qualcuno che nemmeno si conosce? Come è possibile distinguere il vero dal falso se tutto potrebbe essere sia l’uno che l’altro?

Altro luogo e mezzo sempre presente fra i giovani per socializzare sono chiaramente le droghe: aumenta la varietà e diventano più convenienti per i giovani le droghe pesanti rispetto a quelle leggere; la disinformazione e la curiosità spesso portano ad approcciarsi senza essere ben consapevoli di ciò che si assume. Inoltre il terrorismo poliziesco nei confronti di chi assume droghe, leggere o pesanti che siano, pesa soprattutto su chi è più giovane e inesperto, con l’obiettivo di creare un clima di paura che non aiuta né chi delle droghe vuole fare un uso consapevole, né chi della droga vorrebbe e dovrebbe disfarsene per sempre. Pensiamo sia necessario come compagni capire l’importanza di questo mezzo per comunicare e diffondere informazioni che aiutino a gestire e assumere meglio qualsiasi sostanza.

Poiché le nuove generazioni mostrano di essere sempre più aperte verso la molteplicità dei gender, frutto di una lunga rivoluzione sessuale che continua, ma che viene costantemente minacciata, riteniamo sia fondamentale portare avanti lotte riguardanti la sessualità, la contraccezione, la parità dei sessi, la libertà nei rapporti, come eliminare la violenza fisica e psicologica ed evitare malattie sessualmente trasmissibili. Deve essere una lotta centrale, in quanto riguarda nel modo più intimo l’individuo, la sua possibilità di esprimersi, lavorare e vivere senza essere discriminato né dal più semplice passante, né dalle istituzioni.

Ogni epoca storica è stata caratterizzata da una cultura popolare che ha favorito la socializzazione diretta, organizzata o disorganizzata, di giovani, che ha coinciso con una determinata fase storica. Una componente giovanile che genera nuova arte, lanciando messaggi di rottura nei confronti dell’esterno rafforza un movimento che cerca di organizzarsi per combattere l’esistente e crearne uno migliore. Guardando all’oggi dovremmo interrogarci su quali siano le correnti giovanili che nascono dal basso e dargli una connotazione che non sia solo ludica, ma anche e soprattutto politica. Sono ovviamente diversi i generi e i contesti d’interesse, dal rave alla jam; l’importante filo rosso che li lega deve essere la capacità di esprimere il disagio, la rabbia, la volontà di rivalsa di un’intera generazione, valorizzandone gli aspetti positivi di integrazione, unità e libertà di scelta e di movimento.

Corsica 81 minacciata di sgombero (storie di acqua e di fuoco)

Si prevedono forti perturbazioni a Rifredi

E alla fine ci siamo. Dopo sei anni la notizia è arrivata: Corsica 81 è stata venduta dal tribunale che l’aveva requisita in seguito alla bancarotta fraudolenta del “Gruppo Margheri”. Ad acquistarla M&M CASA Srl, un’immobiliare che agisce per conto del Gruppo Intesa San Paolo. Da una parte la nostra casa, quindi, dall’altra il tribunale, la questura, una banca e un’immobiliare. Davvero un bel sodalizio, non c’è che dire. Il disegno sembra però ancor più ampio e più cupo. Ad oggi Corsica 81 è infatti nuovamente in vendita all’interno di un pacchetto unico che comprende anche altre proprietà situate parimenti in Viale Corsica. La stessa via in cui sempre in questo stesso anno inizieranno i lavori per distruggere l’area cani autogestita, sostituita da un nuovo parcheggio scambiatore della tramvia. Si cerca, insomma, un imprenditore che metta le mani su tutta la via, e porti avanti il progetto di gentrificazione della zona iniziato con il rifacimento di Piazza Dalmazia, continuato con la realizzazione della tramvia stessa e che proseguirà interessando anche l’ex panificio militare, destinato a diventare una nuova Esselunga e lo stabile dell ex cinema Manzoni, senza dimenticarsi di quel mostro addormentato che è ad oggi la stazione Foster. Possiamo quindi forse vedere anche lo zampino dell’amministrazione in questa cessione che di fatto contribuirà notevolmente a cambiare il volto di questa porzione di quartiere. Ad essere sotto attacco però non è soltanto una casa, ma un progetto. Un progetto che ci parla di altri modi di vivere e di relazioni non mutuate dal denaro. La tentazione di narrare che cosa rappresenta Corsica 81, che cosa è effettivamente sotto sgombero oltre alle nostre camere, è forte. Ogni progetto, ogni stanza dello spazio sociale meriterebbe un racconto a parte. La camerata per ospitare le persone in difficoltà o in viaggio, la serigrafia, la sala per i concerti e per le iniziative, la ciclofficina, la biblioteca, lo spazio per le riunioni del comitato della via.. riteniamo però più importante e più urgente fare fin da subito un altro tipo di ragionamento.
-Piove sul bagnato-
La notizia del nostro possibile sgombero non rappresenta certo un fulmine a ciel sereno. Quella scatenata dall’amministrazione fiorentina contro le occupazioni della nostra città è una vera e propria tempesta. Mentre ancora paghiamo lo sconto delle tante autogestioni distrutte manu militari dalla prefettura negli ultimi anni, si susseguono le voci dei prossimi attacchi della nostra controparte. Neanche un mese fa la notizia dei fondi stanziati per l’anno 2019 per rifare i locali che attualmente ospitano La Polveriera. La fattoria liberata di Mondeggi è stata nuovante messa all’asta e forse già il prossimo 1 Marzo vedrà uno nuovo speculatore allungare le sue mani. Un destino simile forse interesserà anche il Csa Next Emerson, la cui data di messa all’asta si avvicina in modo preoccupante. Dal loro tavolo di dicembre, Salvini e Nardella hanno tuonato contro gli stabili occupati della nostra città, assicurando almeno altri 5 sgomberi per il 2019. Se tutte queste ipotesi diventassero realtà il volto della nostra città ne risulterebbe profondamente e terribilmente modificato. La ricchezza sociale rappresentata da tutti gli spazi liberati è tale che pare impossibile anche solo cercare di riassumerla in qusto scritto. Certo è che tutte le occupazioni rappresentano un catalizzatore per chiunque si faccia portatore di un pensiero “altro”, un pensiero per cui antifascismo, antirazzismo e antisessismo non rappresentano che le radici di un albero la cui chioma vuole svettare ben al di là dell’essere contro qualcosa, ma a favore di un presente migliore per tutti.
-Che tante fiammelle compongano un incendio-
Ogni spazio liberato ha la sua storia e le sue idee. Spesso come compagni che insistono sulla medesima città tendiamo a dare risalto più alle nostre differenze che ai motivi di unità. Dobbiamo però aver sempre ben presente che i “nostri” spazi, non son realmente nostri. Appartengono infatti a tutte le persone che li attraversano: da chi viene ogni tanto in assemblea a chi si avvicina per le serate fuori dai soliti circuiti commerciali (sia per prezzi che per offerta culturale), da chi fa boxe popolare a chi partecipa alla discussione intorno ad un nuovo libro e tanti, tanti altri che al pari nostro si ritroverebbero in una città che non riconoscono più, completamente svuotata di quanto di più sano aveva da offrire. Per tutte queste persone le nostre diversità sono ben poca cosa a fronte di ciò che ci accumuna. Dobbiamo quindi cessare di essere tante fiammelle nel buio e trasformarci in un incendio in grado di contrastare la bufera in arrivo. Dobbiamo, e ne abbiamo piena capacità, trasformare questa minaccia in un’occasione. Rilanciare la mobilitazione a fianco di tutti gli altri sfruttati della città. Il nuovo decreto sicurezza ha indicato con chiarezza chi sono gli altri indesiderati delle nostre metropoli. Sta a noi adesso far sì che neanche una scintilla vada sprecata.
CON QUESTA CONVINZIONE RILANCIAMO L’ASSEMBLEA CHIAMATA ALL’INTERNO DEI SUOI LOCALI DALLA POLVERIERA PER GIOVEDì 17 GENNAIO ALLE 18.30 PER PARLARE DELLE FUTURE MOBILITAZIONI IN DIFESA DEGLI SPAZI LIBERATI DELLA CITTA’.

Icompagni e le compagne di viale Corsica 81 – 16 Gennaio 2019

Julkaissut Patrizia Corsica Keskiviikkona 16. tammikuuta 2019

La pelle nera

Tratto da

NoBorders Firenze

 

L’ondata di razzismo che sta travolgendo l’Italia non reca i suoi crismi più preoccupanti tanto nell’aumento delle aggressioni a sfondo razziale o nelle chiacchiere da bar o da social network, che quasi sempre riconoscono nell’immigrato, nel diverso, l’origine ontologica di tutti i mali sociali, quanto nell’indifferenza stessa con cui questi fatti vengono accolti, anche da parte di chi razzista non è. Questo razzismo di rimbalzo è stato costruito ad arte dai maghi dei media e dell’informazione, solo apparentemente gretta e facilona, in realtà ben conscia di cosa vuol far pensare alle soggettività a cui si riferisce. Il clima preolocaustico che si respira rende quasi normale accettare il fatto che a pagare siano sempre le vittime, veri e propri agnelli espiatori, puniti in quanto innocenti, per poter alimentare l’odio senza amore su cui si regge il fragile equilibrio dell’ordinamento sociale odierno. Non ci si accorge più, giungendo nello specifico, che misure catastrofiste come il decreto “sicurezza e immigrazione” non fanno che alimentare la stessa devastazione sociale che pretenderebbero di risolvere e, ciò che è peggio, che lo fanno volontariamente, per poter creare le condizioni indispensabili per la riproduzione di quel potere che tanto a lungo hanno agognato. Davanti a quello che probabilmente è il tentativo più esplicito degli ultimi 70 anni di restaurare una nuova forma di fascismo in Italia, le reazioni sono blande e disinteressate, nemmeno paragonabili all’indignazione moralista che sollevavano le veline di Berlusconi, quasi che anche gli individui più attenti e sensibili a questi cambiamenti si siano arresi all’impossibilità di qualsivoglia intervento politico e, ritirati in accoglienti eremi, non facciano che attendere l’ormai improcrastinabile Apocalisse. In questa attenta gestione della sconfitta esiste però una classe di soggetti che non può rientrare nel patto sociale, nemmeno firmando al ribasso, per il semplice motivo che da questo patto è sempre rimasta esclusa, nonostante gli innumerevoli tentativi della Sinistra di accoglierli sotto il tavolo dei padroni per potersi dotare dei propri schiavetti di riserva; questa classe è la classe dei migranti. Se questa definizione di classe per le soggettività migranti sia esatta o no è questione poco interessante; se è la lotta di classe a costruire la classe, nessuno potrà negare che una lotta di classe è in atto, almeno da parte dello Stato nei loro confronti. La sfida sta ora nel ribaltare il tavolo. Se il fallimento del tentativo di assimilazione nella società capitalista porta con sé qualcosa di positivo, è la certezza che l’unica strada da poter percorrere per arrivare al riscatto è quella del conflitto. La condizione insostenibile di chi ogni giorno capisce cosa significa avere la pelle nera, oggi, in Occidente, cesserà solo quando questi oppressi si riconosceranno a vicenda al di là della pura e semplice solidarietà umana arrivando ad un’organizzazione di tipo politico. In questo contesto, il compito di chi odia le frontiere e le limitazioni alla libertà è di schierarsi al fianco di questi soggetti, portando le proprie esperienze e i propri saperi, non vergognandosi del proprio privilegio ma mettendolo in discussione nella materialità della lotta. Cortei e comunicati non sposteranno di una virgola il rapporto di forze in una battaglia di opinione che si svolge su un terreno ormai troppo impari, in quanto scelto dal nemico. La costruzione di una forza che vada a contrastare gli abusi e i soprusi di chi traccia linee sul terreno e ne sancisce l’inattraversabilità è ciò che ora bisogna conseguire. L’accusa di assistenzialismo in tempi di guerra va così riformulata: nemico sarà chi dipinge il migrante come soggetto debole, incapace di organizzarsi e di auto-governarsi; la volontà di chi invece è spinto da sentimenti pietistici all’assistenza va convogliata nella costruzione di meccanismi autonomi di solidarietà. A Firenze, città che vanta il triste primato di tre omicidi con motivazioni razziali negli ultimi 10 anni, da mesi è in corso una mobilitazione di chi, ospite nelle strutture di accoglienza, si è ritrovato imposto un assurdo coprifuoco. Partecipare a questa lotta, fomentare l’odio per gli oppressori che nasce dall’amore per gli oppressi, è condizione indispensabile per non rendere la parola antirazzismo vuota e priva di significato.

                 NoBorders Firenze  –  21 Gennaio 2019

Julkaissut NoBorders Firenze Maanantaina 21. tammikuuta 2019