Un rivoluzionario non muore per essere appeso a una parete

Adesso che è trascorso quasi un mese, e posso giovarmi dei vantaggi che acquista il pensiero quando si raffredda, voglio considerare quella che è stata la vita di Orso per quel che a noi è data di conoscerla, vita che immancabilmente si riassume nel momento topico della sua morte. Ci allontaniamo dalle dovute celebrazioni rituali, dai cortei e dalle dichiarazioni pubbliche. Presto si inizierà a parlare meno di Orso, almeno nel resto d’Italia, poi, più lentamente, anche a Firenze. L’onda emotiva che la sua morte, alcuni diranno il suo sacrificio, ha sollevato, non era facilmente prevedibile. Una scossa che è andata al di là della ristretta cerchia dei compagni, di chi si interessa per un motivo o per un altro alle vicende del Medio Oriente e della Siria del Nord. Questo è dovuto, io credo, al fatto che Orso fosse davvero un ragazzo come noi; che tanti abbiano visto in lui, anche solo parzialmente, un aspetto della sua vita che potesse essere ricollegato alla propria. Il rapporto che intratteneva con chi tenta, o pretende di tentare, di attuare una rivoluzione in Occidente è noto: non li frequentava, se non in maniera marginale e per fatti non attinenti la politica. Non credo che fosse per disinteresse verso l’ingiustizia. Le contraddizioni, con cui tanto spesso giustifichiamo tattiche di comodo, suppongono un attitudine al compromesso che non tutti condividono. La radicalità non cade mai in contraddizione. Radicalità significa andare alla radice, e come insegna un vecchio rivoluzionario, la radice dell’uomo è l’uomo stesso. Probabilmente Orso aveva trovato, in una terra lontana da casa, una dimensione dell’umano che qui ci è sconosciuta. È questo che deve interrogarci; noi che siamo quelle persone che Orso frequentava malvolentieri. Qualcuno ha scritto che ha compiuto una scelta difficile, io sono convinto che quella scelta sia stata la più facile della sua vita. E questo non ha niente a che vedere con la dimensione dell’eroico, ci richiama piuttosto a quella trasparenza nelle parole e coerenza nelle azioni che rende semplice capire da che parte stare. Il paragone con i partigiani della Resistenza non è azzardato. Uomini e donne che di fronte alla necessità di schierarsi non esitarono. Non credo che fossero tutti eroi; erano persone con le loro paure e le loro debolezze, che seppero capire non solo da che parte stava la giustizia, ma anche che lo sforzo individuale di ognuno era necessario per conseguirla. Per questo non è giusto fare di Orso un simbolo, è giusto farne un esempio. Qualcosa che ci ricordi che tutti possono fare la scelta giusta, che sono le rivoluzioni che fanno gli uomini grandi, non il contrario. Ognuno di noi, in ogni situazione, può dare qualcosa per contribuire a modificare il mondo nel senso che vogliamo. Non dimentichiamolo mai, e non dimenticheremo Orso.